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Presentazione

Anche quest’anno la partecipazione al Concorso Enzo Romano ha privilegiato le sezioni relative alla poesia rispetto ai racconti, segno di una irrisolta difficoltà nel rapportarsi alle tipologie testuali in prosa, sia per il maggiore impegno richiesto in fase di progettazione che per la difficoltà di dosare in modo sapiente il mistilinguismo, così come richiesto nel bando.

Così sono giunti soltanto quattro racconti, tre dei quali integralmente scritti in dialetto ed uno in italiano con inserti dialettali. Gli esiti sono piuttosto difformi e, se in qualche caso l’autore ha colto in pieno lo spirito di ricerca e recupero tramandatoci dai preziosi racconti di Enzo Romano, in altri il risultato non convince pienamente.

Rispetto agli altri anni, si rileva una minore partecipazione da parte degli studenti delle scuole primarie e secondarie che, sebbene sin dalla prima edizione si siano astenuti dal concepire racconti, hanno in passato fornito un contributo importante alla riuscita della manifestazione per quel che riguarda la poesia. Il dato rappresenta un motivo di rammarico, perché il Concorso è un’occasione importante per riflettere in classe sullo statuto del dialetto, sulla sua vitalità, sugli usi consapevoli e mediati. Cinque soli testi complessivi non danno adito neanche ad una valutazione sommaria, né a riflessioni di sorta. Si auspica, per le successive edizioni, un maggior coinvolgimento degli alunni, che parta dai docenti e che inviti i ragazzi a mettersi in gioco. Perché, al di là di catastrofistici annunci, il dialetto conserva ancora una discreta vitalità fra i giovani dei piccoli centri.

La categoria C, riservata agli adulti, ha coinvolto autori di cinque provincie siciliane, segno di una discreta diffusione d’interesse legato al Concorso.

Le tematiche sono legate ad un intimo sentire; quest’anno meno che negli altri è comparso l’impegno civile. Si guarda piuttosto al proprio paese di origine, visto come luogo di quiete in cui rifugiarsi, da contemplare nella sua semplice bellezza o da rimpiangere come paradiso perduto. Talvolta, la mente corre ad una evocazione nostalgica delle epoche passate, dove si ravvisano sentimenti più genuini e pratiche di vita più consone ai ritmi dell’uomo; i tempi antichi sono come perduti in una bruma nella quale si addentra il ricordo, quasi per stanarli e riportarli alla luce: operazione che si conclude sempre con un inerme riscontro malinconico e trionfa la rassegnazione. Non mancano toni scanzonati ed ironici, dove il racconto è finalizzato a strappare un sorriso, oppure cupi e tetri, con riferimenti ad un passato dove la prepotenza e la costrizione erano alla base dei rapporti sociali. Tornano spesso anche i sentimenti, che si tratti di amore verso il compagno di vita o di ricostruzione di affetti familiari scheggiati dal tempo. Infine, il tema religioso è visto con drammatico e devoto sentimento popolare.

Si predilige il verso libero, generalmente tendente al prosastico; la rima affiora per lo più come coincidenza di sillabe in fine di verso che a fronte di una costruzione meditata. Non vengono adoperati, infatti, schemi metrici appartenenti alla tradizione poetica. La scrittura è vissuta come flusso di immagini, di sensazioni, che vengono estemporaneamente fissate sul foglio, con intento espressionista e privo di mediazioni.

Il dialetto, nella maggior parte dei casi, tenta di riprodurre il parlato medio di coloritura locale; non si ricorre a formule di koiné, e si riporta graficamente il suono così come si crede di avvertirlo, seppur non senza imprecisioni, ipercorrettismi, travisamenti. Non mancano, tuttavia, soluzioni di mistilinguismo originale o di aderenza sorvegliata all’arcaismo; riusciti tentativi dietro i quali si cela senz’altro la volontà di restituire una lingua meditata, rifinita, talvolta persino tornita.

In conclusione, si auspica per la prossima edizione una partecipazione più numerosa per rendere il giusto omaggio ad una figura importante per la Città di Mistretta, quell’Enzo Romano le cui Muddicati campeggiano nelle librerie e nella memoria di molti siciliani.

 

Michele Burgio, PhD

Dipartimento di Scienze Umanistiche – Università di Palermo

 

ELENCO DEI PREMIATI

Categoria A – Poesia – Scuola Primaria e Sec. Primo Grado

 

1°  Classificato             I.C.”L. Sciascia”            “ Stati”

- Mattia Giaimi                          Finale (PA)

- Martina Raimondo                  Classe 2^

- Martina Scacciaferro               Scuola Media

- Martina Cassataro

- Francesca Inzinga

- Vincenzo Presti                            

           

2° Classificata                          I.C. “T.Aversa”              “ Nuatri carusi”

- Lucrezia Spinnato                  Mistretta(Me)

                                                 Classe V  Sc.

                                                 Primaria neviera

 

3° Classificato             I.C. “L. Sciascia            “ U mari”

- Alexandru Diaconu                       Finale (PA)

      Classe 1 Scuola Media

 

Categoria B – Studenti Sc. Secondaria Secondo Grado - Poesia

 

1° Classificata                          Liceo Artistico

- Diana Diaconu                       “Diego Bianca Amato”

                                                 Cefalu’ (Pa)

 

2° Classificato             Liceo musicale e           “U me paisi”

- Andrea Papa                          coreutico paritario “joan miro” di  Sant’Agata di Militello (Me)

                                               classe 2^

 

Categoria C – Adulti – Poesia

 

1° Classificato            

- Gioacchino Chimenti                   “Na guerra nta lu cori”    - Partinico (Pa)

 

2° Classificato

- Salvatore Bruno                            “Io sempri cuntu”           - Finale (Pa)

 

3° Classificato

- Gaetano Spinnato                  “ Arrifriscata munzignara”-Mistretta (ME)

 

4° Classificato

(Menzione Speciale)

- Antonio Barracato                       “ Terra arsa”                     - Cefalu” (Pa)

 

 

Categoria C – Adulti – Narrativa

 

1° Classificato

- Gaetano Spinnato                  “ A cur’e’ pagghia”     - Mistretta (ME)

 

2° Classificato

- Rosalia La Tona                     “Aria di festa”              - Mussomeli (Cl)

 

3° Classificato

- Giuseppe Bellanca                  “A chiavi d’intra”        - San Cataldo (Cl)

 

4^  Classificato

(Menzione Speciale)

- Antonella Vinciguerra              “ Na storia fantastica - Taormina ( Me)

d’amuri veru”

            

 

 

 

 

 

                         

 

TESTI POESIA

 

 

STATI

                                                                                 

Già si senti du suli u caluri,                                                     
già l’aria è china di prufumu e culuri                                         
nu novu trimulizzu c’acchiana nta menti

chista è la stati oramai mminenti.                                                        


Lassiti e spaddi i ricordi du gielu                                             
e puru chiddi ru tristi e grigiu cielu                                           
ora haiu sulu novi pinzeri ca mi furrianu ntesta, 

vogghiu ca tuttu cancia nta na festa.

                                              
Vogghiu sèntiri caluri supra  la to modda peddi            
quannu nsiemi a sira cuntamu i stiddi                                      
Ogni stasciuni avi i so perli di biddizza                        
ma a stati m’ammogghia come na sula carizza.

 

 

MATTIA GIAIMI - MARTINA RIMONDO - MARTINA SCACCIAFERRO - MARTINA CASSATARO - FRANCESCA INZINGA - VINCENZO PRESTI

 

Classe 2^ I.C. “L. Sciascia” – Finale ( PA)

 

                                             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   NUATRI CARUSI

 

 

l carusi ri na vota

Jucavinu  strati strati  

Erimnu allegri, filici

e tantu spinsirati.

 

 

Nun avianu tanti cosi

pi gghiucari,

e spissu ci mancava puru

lu manciari.

 

Pigghiavinu la vita

cuomu cci vinia,

e a 'gnuranza l' aiutava

a caminari pi 'ssà via.

 

Ora nuatri picciriddi

avimu tutti cosi;

simu sturiati

ma simu puru spissu siddiati.

 

 

Sapiti chi vi ricu?

ririmu! Ririmu!

Campamu allegri

ca nenti 'nnavimu.

 

A vita è bella

e siddu si campa in allegria,

a filicità                      

nni fa' sempri cumpagnia.

 

LUCREZIA SPINNATO

I.C. “T. Aversa” - Classe V A - Plesso Neviera - Mistretta (Me)

 

U MARI                                                           

 

U mari azzurru                                                             

e tantu calmu.                                                             

U mari limpidu                                                            

comu un cristallu          .                                                          .

 

U mari chiaru                                                              

comu l’occhi nuccenti                                                 

di nu picciriddu.                                                                      .

 

Avi milli sfumaturi                                                       

e centinaia di culura.                                                    .

Friddu comu a nivi;                                                     

devastanti comu na timpista

 

ALEXANDRU DIACONU

I.C. “L. Sciascia” - Classe  1^ - Scuola Secondaria Primo Grado

Finale (Pa)       

 

 

 

 

 

 

 

 

IDDA                                                                          

Nasci unni egghiè                                                                               

puri ‘nta i puosti cchiù dispirati                        

unni cc’è sulitati                                                                      

o unni nun arriva l’amuri.                                              

Senza, è comu essiri vacanti.   

                       

Ti quaria nne jorna friddi                                              

e po’ fariti strinciri li denti.                                            .

Po’ travolgiriti                                                             

o pigghiari vita di nu sbagghiu.

                        .

Po’ lassariti senza paroli                                             

essiri u risu d’un picciriddu,                                         

i lacrimi di unu ranni                                                    

o u vuolu di na palumma.         

                                   .

Avi milli formi e milli nomi diversi,                                

ma na sula facci.                                                                    

Idda, una ricchiù bedde ,                                 

LA SPIRANZA             

                                              

 DIANA DIACONU

                             

Scuola secondaria di 2° grado “Diego Bianca Amato” di Cefalù (PA)

 

 

 

 

U ME PAISI

San Marcu d’Alunziu

 u me paisi

ti fa ricurdari i cuosi filici.

Ti fa scurdari tristizzi e duluri

e ti regala giuoia e amuri.

E’ riccu ri storia e arti

e iavi biddizzi ri tutti i parti.

Si vieni na vota pu visitari

subitu ruoppu vo turnari

pi beddi tramunti chi ti sapi regalari.

Si isi l’uocchi tra grifoni e acieddi

l’antica Aluntium iè tra i buorghi cchiù beddi.

Ri stu paisi beddu e incantatu

può ristari sulu ‘nnamuratu.

 

ANDREA PAPA

 

CLASSE II sez. Musicale A.S. 2014/15 - Liceo Musicale e Coreutico Paritario “Joan Mirò” - C/da Capita - Via Giotto n.11

98076  Sant’agata Militello (Me)

 

 

 

 

 

 

 

NA GUERRA NTA LU CORI

 

Era  bedda  ca si nni putia priari,

tutti li masculi  facia firriari.

 

Quannu passava ravanti a lu varveri,

ognirunu la taliava ri la testa e peri.

 

Tinia l’occhi sempri nterra,

ma nta lu cori avia na guerra.

 

Un masculu sulu la facia abbruciari,

ma ron Pitrinu si la vulia maritari.

 

Sulu lu patruni ri lu paisi

putia aviri tanti pritisi.

 

Pigghiarisi la fimmina cchiu bedda,

comu r’un muluni la mugghiu fedda.

 

Quann’era a la taverna s’avantava:

“Un passava un misi e si la maritava”.

 

Era r’accordu puru lu patri r’idda,

ca  un criria a la so bona stidda.

 

Di lu paisi l’omu cchiu putenti

si la pigghiava senza vuliri nenti

 

Mena l’amuri so’ un si putia pigghiari

e allura pinsau ri la so vita lasssari.

 

“Un mali a pena campairi nfeliici!”

E si iu a gghiccari ri lu munti Inici.

 

Ora chianci e grira tutta la genti

“Si vulia ammazzari e un nni capemu nenti!”

Resta sulu e cu lu cori n guerra

l’unico omu ca idda vosi nta sta terra.

 

GIOACCHINO CHIMENTI – Partinico (Pa)

IO SEMPRI CUNTU                                                           

 

Quannu lu vecchiu                                                                              

si senti un pisu                                                                       

li so iurnati su' cu lu cielu chini.                                               

Di negghia sprazzi                                                                              

di timpurali scrusci                                                                             

d'acqua mpruwisi.                                                                               .

 

Sciumi d'acqua mpitusi                                                           

cà si trascinanu a vaddri ogni cosa.                                                     .

 

U ziu Turi è vecchiu                                                                            

ma nun si senti un pisu                                                           

anzl lu cuntu vi lu dicu buonu.                                                 

Guditivi la vita picchì è troppu bona                                                    

svigliativi a matina cù allegria e cantu                                      

cà pi tià nun è tempu di lu cuntu.                                                         

La gioventù nun avi barrieri                                                                 

e I'amori, la gioia fa' felici li casi                                                         

e unisci li cori di padri e figli                                                               

e tutti ascutati stì boni cunsigli                                                 .

 

Amativi e amate mentri siti ntiempu                                                     

cantati alla vita, la vostra gioventù                                                      

cà u piersu è piersu e nun toma cchiù.                                     

Cantati, cantati                                                                       

è cchista, è cchista a miegliu vita                                                        

picchì u viecchiu cunta, cunta                                                  

picchì nun canta cchiù                                                            

nun canta cchiù.

 

SALVATORE BRUNO - Finale ( PA)

 

 

 

 

 

ARRIFRISCATA MUNZIGNARA 

 

Assittatu nno sstrummatu ra casa chi mi vitti carusieddu,

c’è sulu u vientu c’accarizza i pampini e çiuciulia corchi acieddu cusà pirchì stasira a menti voli nesciri pinzera

nno cori pi tant’anni custuruti a rritinera.

 

Spuntau a cantunera me nannu cu mulu Garibbardu,

a viestia surata fin’a punta ra curera … acchianinu ru zzu pardu,

e nanna cci va n cuontru na l’urtima muntata,

a manciatura è cchina e a tannura è addumata.

 

Santia appriessu Paulu Scazzaredda tirannu a scecca u capizzuni, mischinedda, s’appagna pi carusi chi gghjochjnu o palluni, po­ddessiri puru u pisu ru furmientu chi teni intr’a visazza, c’ammec’i caminari

n terra s’arrimazza.

 

Cilì… Cilì… Cilì… Ciliitra,

chiama i jaddini p’aggiuccalli ronna Pitra,

l’addicca cu na m pastata ri canighhja,

a matina arringhjnu ova ca è na maravigghja.

 

“Torna cà” Amminazza a “Patonchja” Pippinu u pitinisi

a crapuzza stric’o muru a panza satra e i minni tisi.

A gna Razzia, so mugghjeri, tutta cattariata, prima ri scurari trasi

pi gghjintra u sstrattu e i ficu r’asciucari.

 

Chi çiaur’i pani c’acchjana ra vanedda,

n’cudduriata nno falari a zza Pidda proje na vastedda,

ddi gghjacchi ri carusi tutti appapuliati,

sulu pi cchissu lassinu sstrummuli e lazzati.

 

A gnà Cuncetta anchjruossi supr’a n fullizzu ca testa all’ariu, cu l’autri vicchjarieddi sgangulati arriebbrica u Rrusariu.

C’è puru cu ca mmeci ri priari,

ri chjstu e chjdda cci­piaci ggianguliari.

 

 

 

…Sientu scruscira a parti rintra, me Matri è nna cucina chi fatia,

me Patri si ssta­rricampannu e idda mi rici a mmia:

“Tanuzzu trasi e chjuri a porta, l’aria arrifriscau,

ammumentu Carosello na televisioni accuminciau.”

 

… Ma pirchì mentri a menti ssti rriuordi scudduria,

mpizzu­mpizzu l’uocchji na lacrima mi cutturia.

È miegghju c’a finisciu ri pinzari,

spuntau a luna, mancu n’ariddu si senti pipitari

 

 

SPINNATO GAETANO - Mistretta  (ME)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TERRA ARSA

 

Terra arsa, abruciata di suli cavuru saracinu

ca genera pirsuni di cervellu finu.

Terra cu mari piscusu di tunni e pisci spata 

ca pu so clima è tantu ‘disiata

 

Terra vagnata di sangu e di suduri

di genti ca detti a vita pi giustizia  e amuri .

Nun cancellamu  sti vecchi ricordi

ca senza d’iddi fussimu surdi e orbi.

 

Terra unni germogliò st’ antica simenza

ca fu l’origini e u puntu di partenza.

Si semu gilusi di nostri tanti vecchi valura

è pi tinilli stritti dintra e nun pirdilli fora.

 

Nun nascemmu ni stu postu

pi numiru, nè pi cumparsa,

ma pi fari conusciri  a tutti

sta valenti razza.

 

E’ genti umili  di radici prigiata

ca pi nobilità d’animu veni  apprizzata.

Facci scavati du suli e du stravagghiu,

cu manu operusi, caddusi, ma chini di curaggiu .

 

Populu dignu d’onuri e di rispettu

fruttu di ventri di matri, cu animu nettu. 

Sicilia di nomi vinni chiamata,

pu restu na tuttu munnu è rinumata .

 

ANTONIO BARRACATO – Cefalù (Pa)

 

 

 

 

TESTI NARRATIVA

A CUR’E PAGGHJA

 

Cumpuru ca num-ppunia cchjue, pi-vviriri a Liboriu a chiazza, o na società agricula, avienu a-vveniri i festi ri Sam-Mastianu, o masinnò corchj Ruminica.

A Sam-Mastianu nn’era accussì devotu, ca s’avia fattu cusiri n’abbitieddu ra Gnà Razzia a Marchiettina, u Signuri ma muntua m Pararisu, cu na fiuredda ru Santu e u tinia stat’e mmiernu mpinnuliune o cuoddu.

E-ffui na siritina ri chjssi, chi nni ntisi pallari a prima ota, pi vucca ri Bbittinu Scarciola. Chjstu Bbittinu tinia bancu ngrannizzatu r’aviri corchj punt’i littra supierchju, e quannu accuminciava nu discursu paria ca facia mpruciessu.

“Ssu fattu chj vugghju cuntari iu” Riscurria Bbittinu, “Assucciriu dd’annata ca a punt’e jusu ru paisi, dduocu, sutt’o vavisu monicu, nno chjan’a sonda a tagghju ra lista ru castieddu, scavaru u petroliu. N’sacciu siddu vi-nnarriurdati, iu l’aju ravant’i l’uocchji ca era ranne e gruossu, scanzipriculu cuomu me figghju Ninu, ca mentri erinu ncursu i travagghji, atterrau nentirimeno n’elicotteru cu m’piezzu ruossu, ca cuomu ntinnienua-ddiri, era u presirenti ri ssi ricerche petrolifere. Siddu nunmi sbagghju, si chiamava Enricu Mattei.

A-cchjssu, amariatu, pi-ccuomu a cuntinu, ruoppu na par’a r’anni u ficiru satare all’ariu cu na bbumma. Atterrau s’elicotteru e nna ssi quartera ru Rruccazzu, Santupietru, i Valatazzi, e u chjan’i spini, ca cci veni nfacci, cci fui u spilluzzu.  Ruoppu n’apuoch’i jorna c’avienu accivutu i travagghji ru petroliu, e accussì turnamu o riscursu chi vi vuogghju riri iu, na matina si vitti lannuniari pajsi-pajsi n’cristianu tuttu allicchjttatu chj gghja addumannannu p’augghja spersa unni s’attruava a cuntrata “tri ccantuna” e ri na rutta a ddu piani sutt’a lista ru castieddu. Ri nott’e notte stu cristianu comu cumpariu spiriu!!”

“E cchjssu i sordi circava, ca l’antichi sempri nni pallavinu”. Ntirvinni Luciu Tartagghja ca a çiancu ru chian’a sonda facia mpussenti uortu. Finiu…Finau…

Cuomu tutt’i jorna, l’unnumani, ntra lustriu e scuru, Liboriu mmardiddau a scecca, salutau a sso mugghjeri Nina, ca figghji nun n’avienu autu, e sdetti pi nna vigna.

A parti ca era mpignusu e ttravagghjaturi, Liboriu era puru praticu ri nzitari, e i nziti chi facia iddu, a-ppezza o a-llignu, nci-nni fallienu mancu unu. E cumpuru ca era attimpata e carrivaligna, tinia dda vigna cuomu na rasta. Rracina cci nn’era ri tutt’i maneri : arisi, nzolia, minn’i vacca, ddiretti, muscatedda… Attuornu, attuornu, avia ararmatu na puoch’i filara ri piersichi, varcoche, niespuli chjapputi, pira e ficu ca erinu a mmiria ri cu taliava-taliava. E apue, ficurinje sanguigne, ggialle, e o stravientu, rrant’a rrantu ri na turchena, n’avia mpricigniatu na trofa vianca, ca a manciarisilla, nconfronti all’autre ca erinu ruci cuomu u meli, è-bberu e bbirità ca sapia anticchjedda simulusa, ma a virilla era nu bbillimentu.

Quannu arrivau na vigna, Liboriu luvau a vardedda a scecca, a mpasturau, ci ittau na torch’e fienu, e si mittiu all’antu. Ri tantu-ntantu mentre facia arripusar’i virazza, cci piacia taliari i petri viecchj ru castieddu, ca ri nna vigna, a linia r’aria, putienu essiri a cientu metri, cchjù picca si, supierchju no. Cciavissu piaciutu sapiri cchjossai supra a storia mistiriusa ri ddi mura, ca a  certi bbanni avienu purtusa, ca ogni tantu, a secunnu ri cuomu furriava u lustriu ru suli, cci trasienu piezzi ri cielu ca parienu quatri. Ruoppu anticchja, pigghjatu ri pinzera ru travagghju accivia ri essiri curiusu e appuzzava a testa arrieri n’terra. Quannu u suli ncuminciau a-qquariari, s’assittau all’ummira sutt’o salici a çiancu ra cubba pi pigghjarisi n-mmuzzicun’i pani cu mpumaroru e rricotta sali e pprisa, ca iddu nn’era liccu. E ffui tannu chi cci suvvinniru i palori ri Bbittinu Scarciola, ca fin’a llura n’ciavia mancu abbaratu… A cuntrata tri-ccantuna… a rutta a ddu piani, e i coste u castieddu. “Vo viriri ca ssu postu è nna me vigna?” Pinzau ntra r’ iddu Liboriu. E accussì era! Nna l’attu ri succession’i morti ri so apà cc’era scrivutu: “Due tumuli di terreno in contrada Tre Cantoni”. A rutta a ddu piani era dda e dda erinu i coste ru castieddu. U riscursu caminava. Quannu pinzau e sordi muntuate ri Luciu Tartagghja, squasica si stava affucannu cu muzzicuni. Confrentè, chjddu chj ci assucciriu sapiddu. Fattustà, ca Liboriu trasiu na rutta, ca fin’a tannu c’iavia siriutu sulu pi-rribbatteria pi-bbarattelli ru travagghju, pi-rripustigghju ru fienu, e p’arripararisi ru cauru e ru friddu iddu e a scecca, addumau u lume, e si mittiu a scavari na parti chjù nfunnu. Ri tannu mpui, parsi pigghjatu ri na majaria. Num-passava jurnata chi Liboriu nu-gghja a –ffacia na rancata ri murritiari na rutta. Pi-ddiri a virità, Liboriu era lienu-lienu, e mai cu nnuddu avia autu ddaddiri. Tant’è veru ca n’annata, nta l’urtimi r’Aprili prim’i Maju, cci scanzaru i crapi a Vitu u Rrizzu. Liboriu avia a vigna ittata a pappatedde e ddi crapi a minnittiaru ca a ficiru addivintari n’crivu cuocciu. Cuedderè avissu iutu a-rricurriri a caserma a traricci a quarela, iddu, Liboriu, s’accurdau cu na par’e quartara ri mustu, e a cosa si chjantau e bbasta. Na sula nnecca Liboriu l’avia autu cu Sciaveriu u Manunculu, ca allimmitavinu ra latata unni c’era u lavinaru. Chjstu Sciaveriu era purtatu cuomu n’cristianu ncrucchjgghjusu, ulienu riri c’avia tastatu puru a vicaria. Nenti, s’avienu mittutu nchiticheddissi pi nu-sspannenti ri ficu catalanisca. Liboriu a tirava pi supr’o lavinaru, Sciaveriu pi- ssutta. Ieru a-ffinieru nentirimenu, a-mmanu r’avvucati. U jurici, a fatt’e causa, pi-lluari a virsazioni, addiciriu ca l’arbiru s’avia a-ttagghjari. E-gghju a-ffiniu, ca ra ficu, i veri patruna fuoru l’avvucati, e Liboriu e Sciaveriu ntra riddi a chjurieru mmita materna. Sciaveriu, mminnicativu pi-ccomera vieriennu a Liboriu ir’e-bbeniri cuomu n’cernivientu ri nna rutta, nisciennu munzedda ri terra, ncuminciau a cantarisilla pajsi-pajsi. Bbasta, pi Liboriu addivintau cuomu nun-ffiernu appiccicatu. A sira, quannu si firmava p’abbrivirari a scecca, i carusi lintavinu ri jucari pi-vvanniaricci: “Ron Liboriu, a-cchj puntu è ca-ggallaria?” Si ncuntrava n’amicu nna stratamastra, a-mmuor’i bbuffuniallu cci ricia: “Liboriu nun è ca corchj gghjuornu nni cumparisci o tuorn’a chjazza?” Siddu e Ruminiche affacciava a società, appena i soci u virienu cumpariri, s’ararmava na bbarbaciata e ssi riscurria sulu ri truaturi ri sordi, marenghi r’oro, e quararuna ri sordi ncantati o scurruti. Liboriu n’ci rava saziu, ma sintiennu ddu farfugghjari, a na parola, era cuomu siddu avissu autu a cur’e pagghja e cci ravinu luci…. Addivintava n’cifiru e-qquannu trasia nna rutta, rava cuorp’i picu ca ogni mott’e terra inchja na curriola. Nenti, paria ca campava sulu p’attruari chjddu chj pi-lluongu tiempu avia sunnatu e fari moriri ri mmiria i paesani scriribbili.

Passava u tiempu, e criscia u munziedd’i terra avant’a rutta. Na sira, ruoppu na jurnata ri putari, prima r’arricamparisi pu paisi, Liboriu vosi fari a solita rancata ri fracchjttiari nna gallaria. Tuttanaota, ranni Ddiu, ncuminciau a-ssentiri a-mmuoru c’a terra ntunava. Cchju corp’e picu cafuddava cchjù-pparia c’avia spurtiddari ri mumentu all’autru ri ddabbanna . Ma jamu c’avia trabbuniatu e u petroliu no lumi ci scarsiava, quasi-quasi nsi viria mancu a-ssantiari. “Talè, rumani si nni palla” Pinzau Liboriu. Ittau a vardedda supr’a scecca, e addizzau pu pajsi.

A sso mugghjeri nci fici nuddu muttu… ma dda notte cu putia rormiri? Nina u sintia utari e sbutari, quann’ è solitu c’appena appuiava i spadd’o liettu caria ncatabbisi e nun sintia mancu scupittati. Dda nuttata nsinnia mai.

Ca e ddà ci paria ca ra finestra trasienu vavareddi r’oro. “Ci fazzu  a-bbiriri iu a ddi quattru quarquarazzi” Pinzava Liboriu, e ci passavinu avant’i l’uocchj, Bbittinu Scarciola, Luciu Tartagghja, Sciaveriu u Manunculu… e tanti jautri paisani.

Quannu u juornu arribbricau, Liboriu si susiu a punt’e pieri, si tirau u cciettu circannu ri nun fari scruscira, pi n’arrivigghjari a Nina ca r’allura s’avia appirnicatu, mischinedda, puru idda avia fattu na nuttata ri scristianiri e scinniu na stadda.  Mmardiddau a scecca e sdette.

Strata-strata taliava l’urtimi stiddi chi scumparienu a una a una n’ cielu, e çiatava cchjossai ri l’autri oti i çiauri’i pulicara e niputedda. Paria cchju arrisirutieddu. …Ma jamu ca quannu accuminciau a-vveniri a vista u castieddu, a vigna e a rutta, u cori ci tunava cuomu n tammurinu. Si nfilau na rutta, e ruoppu corch’i cuorp’i picu, a terra parsi ca si sbalancau. Si sbalancau e cumpariu u suli chi trasia ri nne vanidduzze ri mura ru castieddu. Supr’a r’iddu c’era sulu u cielu e corchj negghja, ca u vientu ia-ddisignannu cuomu na manu ri mpitturi. A part’i sutta a lista, supr’a vigna, si viria u mari, i muntagni, e i vuoschira. N’c’era cchjue nenti… N’c’era cchjue bbisuognu ri scavari.

Liboriu pinzau a-ddi sordi chi ci avienu mmilinatu u suonnu, u manciari, e u travagghju. Si sintia cuomu siddu i latri l’avissiru arrubbatu. Cuomu siddu avissi accucchjatu sordi pi tutt’a vita, e atuttanaota i surgi si ci l’avissiru arrusicatu.

Scurau… Nina aspittava … si sfurniciava. Quannu mmai cu tri ur’i notti Liboriu ancora nun-mminia. Taliava a pasta ngriddata nno piattu ca si putia tagghjari a gghjlatina e aspittava. Bbasta, s’arrusuluviu e-gghju a-ffici a denunzia a caserma.

Tutt’a nuttata chi lampadini, e tutt’a matinata, i carrabbunera furriaru ddi coste vanniannu “Liboriu!Liboriu!”. Pi -ddiri a virità, mpurtusu a-ttaliari nu lassaru.

Nno tardu, viersu mienzijuornu, u Marasciallu u-ttruau sutt’a lista, nno tistali ra vigna. Era affacciabbuccuni, unchjatu cuomu nu bbuffu, ca cricchjmudda aperta e a catinazzat’o cuoddu rrutta.

Nne manu, chjusi fitti-fitti cuomu na tinagghja, strincia na santuzza ri Sam-Mastianu. 

 

GAETANO SPINNATO - Mistretta (Me)

 

 

 

 

 

 

 

ARIA DI FESTA

  • Santu Nofriu pilusu, siti Santu miraculusu, pi li vostri santi pila

facitimi truvari chiddu chi persi tiampu stàsira…

Ma chi cci su li spirdi?… Si l’avia appuiata ccà, cuamu si potti perdiri?... Santu Nofriu pilusu, siti Santu miraculusu…[1]

La signora Rosa aveva un diavolo per capello e i suoi ricci si agitavano convulsamente, incorniciando la figura minuta mentre percorreva la stanzetta del personale non docente in tutte le direzioni. Frugò in ogni cassetto, ma evidentemente Sant’Onofrio in quel momento aveva altri impegni e non poteva ascoltare l’orazione biascicata un’infinità di volte dalla signora Rosa.

La giornata si era aperta nella maniera sbagliata! E Mussomeli, come al solito, era immersa nella nebbia. Un solo raggio di sole bucava le nuvole, illuminando il castello Manfredonico come se Guiscardo, il fantasma del maniero, si fosse accordato con gli agenti atmosferici, ottenendo un angolo di luce solo per sé!

Appoggiati al davanzale della finestra, che si affaccia sul portone principale, gli ingegneri, prima di entrare nelle rispettive classi, discutevano di politica e… sfurficiavanu[2]:

- Talia, talia cuamu si carricà, ma cu si li leggi tutti ssi libbra?...

- Sulu iddri! Li carusi, specialmenti sti iòrna, nun ci pensanu propria!...[3]

In tal modo senza tuculiarisi[4] più di tanto, prendevano in giro soprattutto le colleghe di lettere: le più cariche di tomi e le meno pragmatiche se in un istituto tecnico si ostinavano a volere leggere la Divina Commedia e non solo quella!

I corridoi della scuola ora si animavano di un turbinio di voci, di parole, di canti… accompagnati da una caleidoscopica vitalità policroma. È questa la coinvolgente panacea che ogni giorno tiene gli insegnanti e tutto il personale in gran forma! I ragazzi stavano, infatti, raggiungendo le aule e parlavano di tutto, ma non certo dei compiti, non in quella settimana, tantomeno in quel giorno! L’aria era ormai satura di un non so che di nuovo, e proprio contro tale atmosfera erano destinati ad infrangersi tutti i propositi ed i programmi dei Prof. La signora Rosa aveva già percorso almeno dieci volte il corridoio e la sua gonnella, svolazzando, agitava le foglie rigogliose delle piante, con le quali lei amava ornare la scuola. Le ricerche erano accompagnate da esclamazioni, osservazioni, supposizioni:

  • Nun ci puazzu pinsari! Chi m…sugnu stunata? L’avia appuiatu ncapu la scrivania! Era stata preparata e la Preside l’aveva già firmata…piòi!...[5]

Improvvisamente dalla V B si sentì il professore di economia in uno dei suoi caustici sermoni indirizzati alla lagnusia[6] degli alunni, ai quali non lesinò aggettivi per fugare ogni fraintendimento sull’opinione che si era fatta di loro. Uscì dall’aula e ci incontrammo. Fu allora che mi raccontò l’interrogazione di un suo discente al quale aveva chiesto:

  • Se la professoressa d’inglese si reca ad Agrigento in macchina ed impiega due ore e la professoressa di francese percorre la stessa strada, impiegando il 30% del tempo, quanto impiegherà la professoressa di lettere che, rispetto all’insegnante di francese, percorre la stessa via con il 10% di tempo in meno?

Presasi la testa tra le mani, guardandolo esterrefatto, l’alunno aveva esclamato:

  • Professù, ma pirchì nun pàrtinu tutti tri nsiami cu lu trenu? Accussì sparagnanu![7]

Io non seppi aggiungere altro se non ciò che, qualche minuto prima, mi aveva detto un collega:

  • Che vuoi fare?...attacca lusceccu unni voli lu patruni![8]

Si, ma lu patruni chi era? La scuola è diventata inclusiva… non è più selettiva…ci sono le classi pollaio, i Presidi - sceriffo e i docenti che saranno valutati, selezionati e…

La giornata a scuola stava volando via come vento. In IV B, intanto, quattro alunni, provavano, durante il cambio dell’ora, li lamenta di la Simana Santa[9] :

Così la prima voce individuava la nota acuta che sarebbe stata sostenuta dalla seconda voce e dal basso. Il gruppo provò, quindi, a cambiare tonalità:

  • Pater, si possibile est, transeat a me calixiste![11]

Infine fu sperimentato anche il fanzettu[12]:

  • Populemeus, quid feci tibi aut in quo contristavi te? Respondemihi!.[13]

In tal modo una quarta voce reggeva la prima con una tonalità ad essa affine. Ai lamenti polifonici, si univa un quinto alunno che ritmava i colpi dei tamburi della Settimana Santa, battendo con regolarità la mano tre volte sul banco. Il suono delle trombe, modificate per riprodurre un’unica nota acuta e stridula, con la quale si ricorda il grido di dolore della Madonna Addolorata, non rammento di averlo sentito. Sempre nella stessa classe, un’alunna aveva portato alcuni dei pani da cena[14] realizzati il giorno prima da sua madre per la chiesa di Sant’Enrico. Ora, mentre li mangiava con i compagni, spiegava che l’impasto prevedeva 500 gr. difarina 00 e 500 gr. di farina di grano duro, 350 gr. di zucchero, 300 gr. di strutto, 250 gr. di latte, 10 gr. di ammoniaca, una busta di lievito, 4 tuorli e… un pizzico di abilità per ottenere quel risultato. I pani, abbelliti da una croccante marmurata[15], sparirono in un istante.I ragazzi decisero, allora, di incontrarsi nel pomeriggio per preparare le palummeddi cu l’uavu[16].

La mattinata scolastica volgeva ormai alla fine, quando l’attenzione della signora Rosa fu catturata da un foglio sul quale, fin dal mattino, aveva appoggiato le sua borsa. Improvvisamente sorrise, il visole tornò ai consueti colori del trucco, il suo incedere divenne tranquillo, ogni suo gesto mostrò la ieraticità che un tempo fu della Sibilla Cumana:

Nemmeno Archimede deve aver pronunciato con tanto entusiasmo il suo EUREKA[18]!

Fu così che la signora Rosa cominciò il giro, recando nelle classi la preziosa circolare che solennemente ed ufficialmente annunciava l’inizio delle VACANZE DI PASQUA.

 

ROSALIA LA TONA - Mussomeli ( Cl)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A CHIAVI D'INTRA

 

A sirata jera fridda e ecu tantu vintu.

Pitru, assittatu 'ncapu na seggia, pusava i uvita 'ncapu u tavulinu e taliava fori.

Ogni tantu quarchi pampana di nivi firriava vicinu u lampiuni ca jera davanti a putia di vinu.

A buttigghia di vinu jera quasi vacanti, cumu a so testa. U parlari di l'antri  l'annuiavanu, ppi chissu circava di nun ascuntari mittin­ nusi li manu nni l 'uriechi.

N'arruttu ci fiei acchianari u vinu 'nmucca e sintiu nu bruciuri nni lu pittu.

Taliau fori n'antra vota.

Vitti a facci di Pinuzza, bedda carusa, ca ci fici battiri forti u cori. Iddu, carusu furzutu e travagghiaturi, a fici nnammurari.

Na sira di mmimu si ficiru ziti 'ncasa e duppu quarchi misi si maritaru.

N'annu duppu nasciu na bedda piccilidda ca ci misiru u nomi di Mariuzza, cumu a matri du Signiruzzu. Duppu a nascita di Mariuzza u matrimuniu accuminciau a spasciarisi.

Pinuzza dumannava sempri cchiù sordi ppi idda e ppi a piccilidda.

I sordi ca Pitru pigghiava bastavanu quasi, quasi ppi arrivari a fini du misi.

Pitru si sfurzava a rrisparmiari e circava mdemma di fari n'antru travagghiu, ma i sordi nu11 bastavanu mai.

Maritu e mugghieri si sciarriavanu spissu; u matrimuniu d'iddi jera a la fini.

Na jumata, tumannu du travagghiu;:Pitru truvau a casa vacanti e, 'ncapu u tavulinu da cucina, nu pizzu di carta unni c'era scrittu: " Ti lassu, nun mi circari".

N'antru  arruttu e nu bbruciuri, ca du stomacu s'innacchianava nu pittu, u fici ritumari o prisenti.

Pigghiau u bicchiri di vinu di 'ncapu u tavulinu e si lu viviu tutt'annavota.

Pinuzza s'avia purtatu 'mdemma a piccilidda.                               .

Pitru pinsau ca forsi nun avia statu nu bravu maritu ma iddu avia circatu di fari u so migghiu, di nun fari mancari nenti intra.

Iddu avia circatu di fari a paci ecu so mugghieri ma tuttu avia sta­

tu ammatula.

Ammucciuni taliava Pinuzza, di luntanu, ppi vidiri a idda e a so piccilidda.

Na jumata i finestri da casa d'unni stava Pinuzza nun jeranu apirti e mdetnma nni l'antri joma ristaru chiusi.

Pitru vinni a sapiri ca Pinuzza e Mariuzza sinni avianu jutu o nord Italia.

A iddu cadiru tutti i spranzi. Sta vota jera veramenti sulu.

Ppi iddu ristari sul u jera insoppurtabili ppi chissu accuminciau a biviri; a bittigghia di vinu addivintau a so cumpagnì, chidda ca ci facia scurdari  a ecu vulia beni.

N'amieu ci fiei truvari u nnummaru di telefunu di Pinuzza. Sparti a buttigghia di vinu Pitru s'attaccau  o telefunu accussì putia parlari ecu so mugghieri e sapiri mdemma quarchicosa di Mariuzza.

Arruttau n'antra vota.

U duluri forti o pittu u scutìu tuttu; appuiau a testa 'ncapu u tavulinu facinnu cadìri 'nterra u bicchieri.

U vinaluru, avvicinannusi, ci dissi di irsinni intra.

Ci pigghiau u partò e a fasciacolla e ci dissi:"Cupinati pirchì fori sta nivicannu".

Pitru si susiu trantuliannu tuttu. Si misi u partò e a fasciacolla e niscìu. Fori c'era troppu friddu. U duluri o pittu iva e viniva.

Pitru fici quatchi viaggiu ppi u nord Italia ppi vidiri a so piccilidda ca  stava divintantu ranni e bedda assai.

Avia circatu di mittiri quarchi sordu di latu, ma stari sulu lu facia attaccari cchiussà a buttigghia di vinu.

Iva mali u travagghiu e i sordi nun bastavanu cchiù. Ormai telefunava quarchivota.

Cchi ci putiva diri a dda piccilidda ca ci dumannava tanti cosi? Nun ci putiva diri ca jera tuttu sulu, ca a so cumpagnì jera na but­ tigghia di vinu.

Jera chinu di dulura eu fridu u faciva trantuliari. N'antru arruttu. S'appuijau o muru e cuminciau a scuncirtarisi. Avissi vulutu scun­ cirtari l'armuzza e u cirividdu ppi nun aviri cchiù ne sintimenti ne ptnzera.

Si misi a caminari arrì ppi arrivari a so casa.

U ti1npu jera propriu ladiu. U cilu jera tuttu niuru e u friddu trasia nni l'ossa

A facci di Mariuzza  jera sempri prisenti nna so testa.

 Chicau  nna so strata e duppu davanti a so porta. Pigghiau a chiavi. I so manu jeranu troppu friddi e trantuliavanu tutti.

Nunn'arrinnisciu a mittiri a chiavi nna toppa.

Si sintiu troppu stancu, s'assitau 'ncapu  u scaluni e chuiu l 'ucchi. Nu duluri forti, forti o pittu ci fici nesciri nu lamintu e ecu li manu circau di cunfurtari  u duluri.

Sintiu na manu c'accarizzava a so testa. Grapiu l 'ucchi  e susiu a manu.

"Figghia mi".

"Si, patri, sugnu ju".

Pigghiau  dda manu e si la purtau o pittu.

"Cumu  ti si fatta bedda, assumigghi  tutta a to matri. Ma pirdunari, figghia mi, haiu statu nu tintu patri. Nun vulia  abbannunariti".

"Sta cuietu, ju ti vugghiu beni u stessu".

Pitru trantuliava  tuttu; lagrimi accuminciaru a scinnire e a vagnarici a facci.

Si taliau 'ntunnu. Jera sulu.

"Farsi Mariuzza  jè intra"pinsau e si girau. A vitti davanti a porta ca lu chiamava. "Trasi  intra, patri, fori fa troppu friddu". "Si, Mariuzza,  staiu vininnu".

Nna so vucca nu surrisu.

 

Ap. puiau a. testa nnu scaluni, jttau nu forti respiro e chiuiu l 'ucchi ppi sempri.

 

GIUSEPPE BELLANCA – San Cataldo (Cl)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NA STORIA FANTASTICA D’AMURI VERU

 

Chista ca stiu pi raccontarvi è na storia fantastica d’un amuri veru.

Tuttu iniziau pi casu na ‘na putia d un paisi supra u mari di l’isola di Sicilia.

Na carusa bedda stava facennu a spisa pi casu, na sta putia supra u mari, picchì idda si sirvia spissu a lu supermercatu. O momentu di pagari visti 2 tegli’ nno scaffali, vicinu a cassa e, i pigghiau pi poi putirli pagari assemi a l’autra spisa.

Na cassa c’era un beddu carusu ca cu fari ingenuu e, un po’ pi conquistarla ci dummannau:

 

A carusa rispunniu:

Allura u carusu ci dissi: < Pigghini n’autra ca ta regalu io! Poi mi porti un pezzu du dolci ca fai e videmu si è bonu pi daveru!>

A carusa ci dissi, cu fari un po’ timidu e allegru :

I ddu carusi si pirderu di vista pi un paiu di misi e si ritruvaru quasi pi casu cu social network.

 Un beddu jiornu, A carusa quasi di sorpresa, girau  o picculo supermercatu e, ci dissi tutta cuntenta:

 

Così u carusu ittau a prima petra pi conquistari dda carusa, ca però nna du periudu,.. idda avia a n’autru carusu nna testa e, quannu ci dissi u carusu da putia: niscemu in 3 io, tu e l’aurtu a manciari na pizza fora a carusa non accettau,.. anchi picchi so soru ci avia suggeritu di nesciri sula cu carusu du picculo supermercatu.

Na sira di fini novembri a carusa, purtau u carusu nna casa supra la collina pi presentarlu a so soru.

So soru na dda sirata fridda di novembri, tuttu si spittava tranni ca aviri  a casa un ospiti così importanti.

A bedda carusa ciù presentau e volli subitu sapiri chi nni pinsava so soru.

So soru dissi:

Nno primu appuntamentu non ci furunu  sulu i dui fidanzatini, ma oltri a soru da bedda  carusa, c’erano i so 2 niputi. E, comu fu commuoventi quannu u carusu ci dedicau a bedda carusa na canzuna di Gigi D’Alessio: sta frasi racchiudia tuttu l’amuri ca avia u carusu pa beddda zita. Un carusu ca sin du primu istanti l’avia amata da moriri e vulia continuari,.. ad amarla e a proteggerla pi tutta a loro vita.

Com’era forti st’amuri! Comu già nno so albeggiari dava segni d’infinitu, d’immensu ca si funnia cu lu focu di passioni ca c’era nna l’anima du carusu innamuratu, mescolandosi cu l’eternità di stu nobili sentimentu ca racchiudeva u cori suu.!

Passa na simana e a bedda carusa ci presentau a so soru puru i genitori du carusu ca nni iutaru a cogghiri alivi, essennu iddi genti all’antica.

Na famigghia esemplari nno rispettu da famigghia e du prossimu!

Passsau n’autra simana e ci fu un invitu a cena nna casa du carusu.

Dopu a cena deliziosa e, dopu a torta favolosa, ci fu un fattu inaspettatu: u carusu si inginocchiau e cu un aneddu tra li mani ci dumannau a bedda carusa sivulia sposarlu.

A bedda carusa, un po’ confusa, ci dissi di sì.

Era u periudu di Natali e, l’autri iorna passarunu comu u tempu soli fari chi so attimi ca trascurrunu ora lenti ora veloci, così  arrivau puru u iornu di Natali Si manciau tutti assemi.

Sulu ca a sorella da bedda carusa, non vulia stari pi semprei cu iddi e dopu 2 iorna girau o so paisi.

Furunu 6 misi di separazioni tra sorella maggiore e sorella minore  e,tra liti immotivate.

Fin quannu a sorella maggiore si sintiu mali e a sorella minori non su fici ripetiri 2 voti, e sa purtau a casa soi.

Passaruni n’autri 6 misi e, arrivau puru u jornu in cui i dui fidanzatini si sposarunu.

Fu ‘na cerimonia particolari. Cu buffet fora da chiesa. Un bel albergu unni si manciau bonu.

C’erunu tanti manicaretti priparati nno buffet, tanti dolci, i belli, sgargianti e colorati  fuochi artificiali quannu arrivau u momentu di tagghiari a torta nuziali.

A chiesa parata cu meravigliosi fiori A casa altrettantu parata cu fiori di stoffa costruiti personalmente chi mani fini e creativi da sposa. Ddu archi fatti di palmi e di stelli di natali, fatti sempri da bedda carusa.

I bombonieri, creati puru da sposa, ficiru luccicari u cori di cu i riciviu.

Ora i ddu carusi vivunu insiemi, è troppu pocu diri ca si amunu, picchì u sentimentu ca si sprigiona nne loro cori è così grandi e così intensu ca supera persinu l’immensità du cielu. E’ prufunnu cumu u mari e si ci sarissi pi iddi un modu pi abitari nna l’abissi du mari o nne galassi du cielu, non ci sarissi pi iddi bisognu di nenti , u loru amuri bastassi a farli sopravviviri, tantu iddu è forti comu u tempu ca passa e lassa tracci indelebili,nall’anima di ricordi, ormai presenti per sempri nno so essiri immensu..

“Il mio petto da cuscino per la vita ci sarà” è a loru canzuna, e quanta è vera sta frasi.

Ovveru u carusu, offriu u so pettu comu da riparu nna li difficoltà di la vita presenti, cumpagnu di l’amuri ca iddu prova pa bedda carusa, un rifugiu, un portu sicuru unni approdari quannu la vita presenta tristezzi e ambiguità.

Stu carusu è infatti comu n’anciulu protettore nne confronti da bedda carusa, ca certi voti disperata nno pinsari a so vita passata, cianci lacrimi di scuramentu du cori.

Allura u carusu ci gira un brazzu attornu o coddu e a tranquillizza. “Amuri ci sugnu io accantu a ttia”

E,.. quannu insiemi guardavano a luna ca stava tramuntannu no pizzu di l’Etna infuocata. Si baciaru cu tanta passioni, e u munnu non esistia cchiù attornu a iddi.

Chista, dunque è a storia fantastica di un amuri veru e io a vosi chiamari accossì picchì dui ca si amunu accossì assai non l’aiu vistu finu ad ora, e ci auguru di fari du loru amuri a ragiuni di la vita soi, e di trascorriri u so tempu di vita così per sempri, non baciu eternu ca non si scioglierà mai più!

 

ANTONELLA VINCIGUERRA - Taormina (Me)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COMPONENTI DELLA GIURIA:

 


Avv. Liborio Porracciolo - sindaco di Mistretta
Dott Vincenzo Oieni assessore comunale alla Cultura
Prof Michele Burgio - docente Dipartimento Scienze Umanistiche -Università di Palermo - Presidente giuria
Prof. Sebastiano Lo Iacono - giornalista, scrittore
Prof Lucio Vranca - musiucista, poeta, scrittore
Dott. Sebastiano Insinga - cultore ed appassionato di tradizioni popolari
Dino Porrazzo - segretario del Concorso

 


Si ringrazia per la collaborazione il professore Giovanni Ruffino, direttore del “Centro studi filologici e linguistici siciliani” di Palermo

 


La pubblicazione è stata realizzata con il contributo economico del Comune di Mistretta e del Lion Club Mistretta - Nebrodi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE PAROLE

(a Enzo Romano)

 

Tu dici grano, spighe, covoni

e ci porti serenate di grilli

a cullare il sonno dei contadini

nell' aia in attesa del giorno;

e dici raccolta di olive

e ci porti rumori di topi

a inquietare il sonno ai bambini

le notti che si restava in campagna;

e dici varate, dolci di Pasqua,

e ci porti le voci delle madri

nell'orto dei Getzemani a pregare;

e dici frutto di fichidindia

e ci porti l'amore del padre

che sbucciando si piglia le spine;

e dici freddo e dici inverno

e porti canestri di filastrocche

appesi vicino ai bracieri;

e battezzi le parole muddicati

perchè non tornano il tempo trascorso;

ma del pane che ci crebbe

intera ritorna la fragranza.

 

Filippo Giordano




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Proprietà letteraria riservata

© copyright Kermesse D'arte - Mistretta (Me) - Agosto 2015

 

 

 

 

 

[1] Sant’Onofrio peloso, siete un Santo miracoloso, per i vostri santi peli fatemi trovare ciò che ho perso entro questa sera…

Ci sono forse gli spiriti dispettosi?... Se l’avevo appoggiata qua, come si è potuta smarrire?... Sant’Onofrio peloso, siete un Santo miracoloso…

[2] Spettegolavano.

[3]- Guarda, guarda come si è caricato, ma chi leggerà tutti quei libri?...

  -  Solo loro! I ragazzi, specialmente in questi giorni non ci pensano proprio!...

[4] Senza muoversi, fermi.

[5] Non ci posso pensare! Ma sono stonata? L’avevo appoggiata sopra la scrivania! Era stata preparata e la Preside l’aveva già firmata… per oggi!...

[6] Pigrizia.

[7] Professore, ma perché non partono tutte e tre insieme con il treno? In tal modo risparmiano!

[8] Lega l’asino dove vuole il padrone!

[9]I lamenti della Settimana Santa.

[10] Donna.

[11] Padre, se è possibile, passi da me questo calice!

[12] Falsetto.

[13] Popolo mio, cosa ti ho fatto o in cosa ti ho rattristato? Rispondimi!

[14] Dolci tipici del periodo di Pasqua che a Mussomeli vengono preparati dalle famiglie perché siano distribuiti nelle chiese.

[15] Glassa meringata ottenuta mischiando tre albumi a 600 gr. di zucchero a velo. Tale glassa viene spalmata sui pani da cena freddi e viene abbellita con colorate codette di zucchero.

[16]Piccola colomba con l’uovo, ovvero una pastafrolla modellata a forma di colomba, nella quale si avvolge un uovo intero che diventa sodo, mentre cuoce, avviluppato nell’impasto, in forno

[17] L’ho trovata!

[18] Ho trovato.


 

       
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