Si discute se il più antico insediamento borgomanerese si possa far risalire ad uno dei ventitré poderi della corte di Baraggiola, che con un diploma del 962 Ottone I elargiva ai canonici dell'isola di San Giulio. Si tratta, ovviamente, della prima documentazione scritta che riguarda il territorio, non mancando altre testimonianze, più remote, che chiamano direttamente in causa ritrovamenti archeologici in paesi circostanti (ma si veda, a proposito, il volume di Ernesto Lomaglio: Le origini di Borgomanero e il medio novarese nell'età comunale). Baraggiola (il nome significherebbe "piccola baraggia", voce piemontese e lombarda, assai comune nella zona, che indica un territorio incolto) è oggi una cascina ai piedi della collina di S. Michele, a circa tre chilometri dal centro di Borgomanero, sulla sinistra della statale che conduce ad Arona. Qui si trova ancora la piccola chiesa romanica di S. Nicola con la torre, fatta erigere probabilmente dal Capitolo dopo la donazione ottoniana.
Ecco, rapidamente, le vicende che riguardano quel periodo storico. Alla dieta di Worms del maggio 961, Ottone I decise di tornare in Italia per affrontare Berengario 11, Marchese di lvrea incoronato re d'Italia, già sconfitto dieci anni prima ma ora tornato al potere ed in aperta lotta contro l'episcopato italiano. Papa Giovanni XII, infatti, promise a Ottone la corona in cambio del suo aiuto. Forte della vittoria appena conseguita sugli ungari, Ottone I non impiegò molto a mettere in fuga Berengario e il 2 febbraio 962, a Roma, si fece incoronare imperatore dal papa, restaurando l'antico impero cristiano di Carlo Magno e dando una svolta radicale alla politica italiana: appena un anno dopo sarà il nuovo imperatore a deporre il papa, eletto a soli sedici anni e accusato di omicidio e vari altri misfatti, riprendendo così una politica di controllo degli imperatori sassoni sul papato.
Nel frattempo, però, Berengario si era riorganizzato per l'ultima offensiva. Tornando verso nord, Ottone si stanzia a Lagna sul Lago d'Orta, nella cui isola la moglie di Berengario, la regina Willa, tentava una strenua resistenza, ma dopo settanta giorni raggiunse, sconfitta, il marito alla fortezza appenninica di San Leo. E' allora, il 29 luglio 962, che Ottone I rilascia, ad Orta, il diploma con cui dona l'isola, sottratta da Berengario al vescovado di Novara, ai canonici del Capitolo di San Giulio. (Il motivo per cui non venne restituita al vescovo di Novara è altra questione storiografica irrisolta). Con l'isola, l'imperatore donava le corti di Baraggiola e di Agrate. Dal diploma si apprende inoltre che la curtis de Barazzola comprendeva ventitré mansi, che, come si può dedurre, erano disseminati nei dintorni, ma non necessariamente confinanti.
Nonostante tutte le varie congetture che si sono formulate finora, sembra lecito considerare arbitraria l'identificazione di uno dei mansi della corte di Barazzola con il successivo Borgomanerio. Il nome stesso della città, come vedremo, avrà altre origini. La prima denominazione "ufficiale" di Borgomanero è tratta dalla chiesa di S. Leonardo, che presumibilmente risale agli anni 1125-1150 e che fungeva da riferimento, non solo religioso, per i pellegrini che viaggiavano lungo la Via Francisca. Dalla "carta di Romagnano" del 1198 sappiamo infatti che a quel tempo Borgo San Leonardo godeva già della qualifica di borgofranco (il documento concedeva, da parte del Comune di Novara, la stessa qualifica alla comunità di Romagnano), cioè un borgo affrancato da prestazioni servili, estraneo alla giurisdizione comitale che pure, come è ovvio, manteneva una certa autorità ed influenza.
Questi dati dimostrano il prestigio e l'importanza strategica attribuiti al territorio borgomanerese fin dalle sue origini, soprattutto per Novara. Fu proprio l'episcopato novarese che volle trasformare Borgo S. Leonardo in un caposaldo militare, a seguito dei dissidi con il vescovo di Vercelli, appoggiato dai Conti di Biandrate, per il possesso della Valsesia e per i contrasti patrimoniali dell'abbazia di S. Silano di Romagnano. Nel 1187 i Vercellesi edificarono il castello del colle di S. Lorenzo presso Gattinara e nel 1190 devastarono le vigne di Romagnano, riuscendo anche ad espugnare il ponte costruito sul fiume dai Novaresi. Tali devastazioni furono condannate dall'imperatore Enrico VI. Borgo S. Leonardo, tuttavia, rappresentava non solo un presidio della via di Romagnano e un luogo strategico di controllo dei Conti di Biandrate, ma anche una base per la politica di espansione verso nord (e si ricordino, a proposito, gli scontri per il possesso della Riviera di S. Giulio [1209-19] e la battaglia di Pallanza per il Verbano occidentale [1223]).Interno Chiesa di San Leonardo
Il podestà di Novara era allora, nel 1193-94, Giacomo Mainerio, da cui prese il nome l'insediamento borgomanerese. La costruzione del nuovo borgo implicò quasi certamente lo smantellamento dell'abitato di S. Leonardo, la cui chiesa, conservata tuttora, rimase esterna alle mura, forse in funzione di chiesa cimiteriale. Nel 1202, nella convenzione stipulata tra il Comune di Novara e i Conti di Biandrate che consegnava ai Novaresi le terre al di sotto di Gozzano e Romagnano, sancendo in definitiva la sconfitta dei Conti, compare ancora il nome di Borgo S. Leonardo: Borgomanero non poteva essere allora che un semplice sobborgo in crescita, ma che ben presto attuerà l'ambizioso progetto politico implicito nella sua stessa concezione architettonica. A partire dal 1231 il nome di Borgo S. Leonardo non compare più in alcun documento.
Secondo una remota ipotesi, sostenne il rosminiano Vincenzo De Vit, il nome di Borgomanero in origine sarebbe stato un "manso" o "maniero" della Corte di Barazzola. Entrambe le definizioni derivano dalla stessa radice latina di "manere - manerium", luogo cioè abitato, circondato da una consistente estensione di territorio. Questo "manso" o "maniero" fu in seguito cinto da mura e fortificato divenendo "borgo", da cui Borgo Manero o Borgo Manerio, per finire a divenire Borgomanero. Secondo un'altra ipotesi, formulata dal venerabile Carlo Bascapè, vescovo di Novara, si ritenne che il nome Borgomanero sia stato attribuito da una famiglia "Mayneria" di origine milanese, presente nel Novarese tra i secoli XII e XIV.
Infine un approfondito ed erudito studio dello storiografo locale prof. Ernesto Lomaglio, un insegnante, borgomanerese d'adozione, pubblicato col titolo "Le origini di Borgomanero", scioglie ogni dubbio a proposito della derivazione del nome di Borgomanero. Dice l'autore: "Noi pensiamo, con fondata ipotesi, che il nome gli derivi da Jacobus Maynerius, podestà novarese nel 1193 - 94". Rafforza questa ipotesi il prof. Lomaglio rifacendosi agli scritti sia del De Vit che del venerabile vescovo Bascapè, i quali fanno entrambi cenno, nei loro studi sulla famiglia dei "Mayneriis", citandone la podesteria genovese il primo e l'origine milanese il secondo, ma trascurando o ignorando il documentato titolo di "Podestà di Novara". La probabile esistenza di Borgomanero in epoca pre-romana o romana è assai poco documentata e quindi è solo da presumere grazie ai ritrovamenti emersi nel XIX secolo, in località San Martino.
Il luogo è situato sulla strada che dal borgo porta alla frazione Santo Stefano dove esiste un fabbricato che ostenta i resti di uno sconsacrato e decadente oratorio, dedicato appunto a San Martino. In occasione della costruzione di quella strada furono rinvenuti molti vasi, frammenti di romane antichità, urne cinerarie e monete, appartenenti ai primi secoli dell'impero, oltre ad un bracciale di bronzo a nastro. L'oratorio appare in un documento del 1225, nel quale si precisa che, di fronte alla chiesa, era posto il "termine" che segnava i confini fra le pievi di Cureggio (a sud) e di Gozzano (a nord) alla quale apparteneva.
Oltre ai già citati ritrovamenti ottocenteschi, altri recenti ritrovamenti, nel Rione Valèra, hanno portato alla luce un elmo, monete romane e frammenti di fittili. Anche dalla necropoli di San Martino alle Verzole venne alla luce, sempre nel XIX secolo, una serie interessante di specchi di bronzo, con forellini e decorazioni. Lo storico De Vit descrive inoltre molte lapidi romane rinvenute a Cureggio, Fontaneto d'Agogna e Santa Cristina di Borgomanero: in quest'ultima località, nel luogo detto 'Torre di Caristo', fu scoperto un frammento d'iscrizione "CALLISTUS. LIB.", riferibile ad un "liberto Callisto" inconfutabilmente romano.
Nel 962 l'imperatore Ottone I dona ai canonici di San Giulio la curtis di Baraggiola comprendente ventitré mansi o poderi. Fra quelle terre doveva esservi ubicato Borgomanero, che sarebbe stato, quindi, uno dei ventitré poderi, cioè un "manso" o "manerio". A questo punto il De Vit trae la conclusione che il "manerio ", cresciuto in popolazione, fosse stato cinto di mura e fossato a difesa, forse fortificato e quindi detto "borgo", donde derivò "Borgo Manerio" o "Borgo Manero ", e, in un solo vocabolo: "Borgomanero ". Il De Vit diede forza a questa convinzione citando alcune carte del XII e XIII secolo nelle quali trovasi scritto, in una sola voce, "Burgimanerium ".
Anche lo storico Azario scrive "Borgo Mainero", ma dovranno passare alcuni secoli prima di poter trovare conferme storiche concrete. La prima testimonianza si ha nel 1202, quando il 12 maggio di quell'anno, venne sottoscritta una convenzione fra Novara ed i Conti di Biandrate, nella quale si dichiarava che i novaresi erano padroni di tutte le terre al di sotto di Gozzano e Romagnano ed è qui che si trova, per la prima volta, Borgomanero citato come "Burgus Sancti Leonardi" e dove si attesta in luogo l'esistenza di un "fossato". È la prima notizia politica che si ha del borgo.
Intanto, negli anni 1193-1194, era podestà di Novara Jacobus Maynerio, un eminente e quotato personaggio politico che rivestì mandato podestarile anche a Genova e Piacenza. Nessuno storico si arroga la presunzione di ritenere che Jacobus Maynerio abbia fondato il borgo che, come si è visto, già esisteva come borgo San Leonardo e godeva del " privilegium burgi". Certamente la crescita della popolazione aveva determinato la costruzione di un nuovo "borgo" vicino al preesistente "Borgo San Leonardo ", destinato ad inglobare il vecchio insediamento. Nel secolo XII si verificò il passaggio della proprietà delle terre del borgo dal vescovo di Novara ai Conti di Biandrate e, nel 1202, al Comune di Novara in base alla convenzione che quest'ultimo "deve tenere, possedere ed avere Borgo franco, il Borgo San Leonardo... e gli uomini abitanti di detti luoghi e tutta la terra che è dentro i fossati".
Avamposto di Novara sulle strade del lago di San Giulio e della Valsesia, Borgomanero era destinata a diventare, con il declino dell'età feudale, in cui non poteva certo valere i presidi di Cureggio e di Briga che circondavano la spianata su cui sorgeva, capoluogo di una vasta zona. L'economia borgomanerese si incentrava sull'agricoltura, sull'artigianato ad essa connessa e sul commercio. Tutte queste attività potevano spesso creare conflitti con il Capitolo di San Giulio, che possedeva per concessione di Ottone I, lo ricordiamo, territori circostanti al "borgofranco". Spesso le uniche cronache di questi secoli riguardano proprio casi di divergenze giurisdizionali con i canonici di San Giulio o con la pieve di Cureggio.
La Storia di questo periodo rimane comunque legata alle vicissitudini di Novara, che dominava un vasto territorio in cui sorgevano, però, numerose fortezze, in grado di rappresentare una costante minaccia. Durante le lotte intestine fra i "rotondi", capeggiati dai Tornielli, e i "sanguigni", con a capo i Brusati, Lambertenghi e Cavallazzi, Novara subiva anche gli interessamenti dei Torriani e dei Visconti. A causa di questi conflitti andranno distrutti molti castelli e fortilizi (quelli di Gattico, Briga, Vergano, Boca e Maggiate, per esempio). Nel 1311, poi, Galeazzo I Visconti espugna e smantella il castello di Cureggio, uno tra quelli che godeva di maggior prestigio, riducendo la pieve a un misero villaggio: molti dei suoi abitanti si trasferirono così nella contigua Borgomanero.
Tra i privilegi dei borghi franchi c'era quello di essere governato da un podestà e di poter tenere un mercato settimanale che a Borgomanero già esisteva "ab immemorabili", come antica era anche la fiera che si teneva il giorno di San Bartolomeo. Nel 1333 Novara passò ai Visconti (poco è dato di conoscere delle vicende del borgo nel secolo che intanto era trascorso) e così anche Borgomanero entrò a far parte del ducato milanese. Dell'importanza che Borgomanero ebbe al tempo dei Visconti si ha la chiara testimonianza negli scritti di Pietro Azario, storico dell'epoca, che abitò nel paese per qualche tempo con la sua famiglia. L'Azario parla del borgo in più luoghi nella sua "Cronaca" descrivendo anche la famosa pestilenza dell'anno 1344, che invase la Lombardia e il Piemonte e che infierì crudelmente fino all'anno 1347.
L'Azario racconta come in Borgomanero per la peste perissero, in tre mesi, ben cinquecento ventisette persone, compresi donne e fanciulli. La spiegazione che lo storico dà degli eventi è la seguente: nel borgo era stanziata una numerosa guarnigione di soldati causa primaria della diffusione del morbo, a cui si aggiunse la gran quantità di neve caduta nell'anno 1339 che coprì la terra fino a tutto il mese di marzo, cosa che guastò le semine. A questo fatto seguirono scarsi raccolti che produssero, negli anni seguenti, una forte carestia e alla carestia subentrò ben presto il crudele morbo.
Nel 1358 Galeazzo II ritorna in possesso di Novara dopo la breve parentesi della dominazione monferrina, ma Giovanni Il Paleologo, Marchese del Monferrato, riuscirà a sferrare la controffensiva dopo aver assoldato in Francia duemila mercenari inglesi, che, capitanati dal tedesco Alberto Sterz, devasteranno il novarese, dove nel 1361 scoppierà anche la peste. Alla partenza delle truppe mercenarie, Galeazzo ordina, nel 1364, che siano demolite tutte le fortezze del territorio, tranne quella di Borgomanero, il cui prestigio è ormai riconosciuto, anche se ecclesiasticamente non divenne sede di pieve, nonostante la rinomanza che guadagnava la sua chiesa di S. Bartolomeo. La fonte principale cui attingere gli avvenimenti di questi anni è il Liber gestorum in Lombardia, et precipue per et contra Dominos Mediolani di Pietro Azario, notaio al servizio dei Visconti che soggiornò molti anni a Borgomanero.
L'Azario, con la sua minuziosa cronaca, fa conoscere come nell'anno 1364 un'altra sciagura si abbattesse sulla popolazione del borgo appena uscita dalla carestia e dalla peste: l'invasione delle locuste. Giunte nel cuore dell'estate in nugoli tali da oscurare il sole in pieno mezzogiorno, divorarono ogni erba, ogni foglia, ogni frutto. Al calare del sole si alzavano in volo per portare la distruzione in altri luoghi. Fu in occasione di questa calamità che la popolazione del borgo, che si era affidata all'intercessione di San Bernardo, abate di Chiaravalle, eresse l'oratorio che porta il suo nome ai piedi del colle del Colombaro. Galeazzo Visconti regnò sino al 1379 lasciando il feudo al figlio Gian Galeazzo che governò sino alla morte, avvenuta nel 1402. Il Ducato di Novara toccò per successione al figlio Filippo Maria Visconti e perciò anche le terre di Borgomanero. Nelle lotte tra i vari signori dell'epoca Filippo Maria volle premiare, per la sua fedeltà ai Visconti, il nobile Giovanni Tornielli, governatore di Pavia, investendolo, nel 1411, del feudo di Borgomanero. Con la morte del duca Filippo Maria, avvenuta nel 1447, si estinse il dominio dei Visconti in Italia.
Nel 1412 il controllo del Novarese passò a Filippo Maria Visconti, la cui nuova politica prevedeva un progressivo distacco di Novara dai suoi possedimenti. Il feudo di Borgo Maynerio passò, su investitura del nuovo Duca, a Giovanni Tornielli di Parona, che fece atto di vassallaggio. Ma il nuovo feudatario morì dopo soli tre anni, e per ottenere la trasmissione del feudo ai discendenti, allora minorenni, la moglie Lorenzina de Carlibus di Sopramonte dovette accettare il dazio sul pane, il sale e l'imbottato e l'atto di vassallaggio anche del figlio, appena questi fosse divenuto maggiorenne. Il rinnovo dell'investitura avvenne il 7 aprile 1432.
Con la morte del Duca Filippo Maria si estinse la dinastia Visconti ed il feudo passò alla Camera. La Comunità di Borgomanero, che aveva giurato fedeltà al Conte Francesco Sforza il 24 dicembre 1448, si trovò pochi mesi dopo, nel 1449, a subire l'attacco delle truppe del Duca Ludovico di Savoia, intenzionato a recuperare i territori novaresi. Ma le antiche mura del Borgo, con i torrioni, i terrapieni e i fossati resistettero, segnando anzi una grave sconfitta per i savoini che decisero di rinunciare alle ambizioni di riconquista. Il 27 dicembre di quell'anno, infatti, si firmò la pace di Moncalieri. Borgomanero preservò la propria autonomia e gli antichi privilegi, ma le tasse che pagava alla Camera Ducale, alla morte di Francesco Sforza nel 1466, quando gli successe il figlio Galeazzo, divennero causa di una protesta delle famiglie del Borgo e dei villaggi limitrofi, in seguito all'acquisto del diritto di riscossione delle entrate da parte di Pietro Trivulzio, consigliere del Senato segreto del Duca. Le proteste portarono a un compromesso: la Comunità, in cambio di un pagamento annuo di 840 lire, avrebbe mantenuto l'incasso dei dazi. Quella somma rimase invariata per secoli, ad evidente vantaggio della Comunità che poteva in questo modo giovarsi di entrate annue corrispondenti a diverse migliaia di lire.
Anche alla morte di Pietro nel 1477 l'autorità feudale su Borgomanero rimase ai Trivulzio, famiglia fedele agli Sforza fino agli ultimi anni del dominio di Ludovico il Moro, quando, per motivi economici, si allearono al Re di Francia. Furono, anzi, fra i maggiori fautori. nel 1500, della conquista del Ducato da parte di Luigi XII. Ma i primi anni del XVI secolo furono caratterizzati dalle alterne vicende militari, che impedirono qualsiasi stabilità politica. Negli anni 1513-1515 e 1523-1524, per esempio, il feudo di Borgomanero passò nelle mani di Anchise Visconti, poi destituito; fino al 1529 ne divenne feudatario il capitano spagnolo Gioanni de Urbina, anno in cui Mercurino da Gattinara, per i meriti acquisiti alla guida della Cancelliera, ottenne a Barcellona, dall'imperatore Carlo V, l'investitura non solo del feudo di Borgomanero, ma anche dei distretti di Biandrate, Ghemme e Valsesia. Morì tuttavia dopo appena un anno e, in seguito alla pace firmata a Bologna il 2 gennaio 1530, i Trivulzio riuscirono a recuperare i loro feudi. La loro dinastia però durò fino al 1549.
Alla famiglia dei Trivulzio successe, nel 1552, il Marchese Sigismondo del casato degli Estensi di S. Martino, il ramo cadetto dei Signori di Ferrara. Egli fece in un decennio solo un breve soggiorno a Borgomanero, trovandosi impegnato nei conflitti contro i francesi (era comunque consueta all'epoca l'assenza del nobile feudatario in parecchi territori di sua proprietà). Morì nel 1561, per cui il feudo venne amministrato dalla tutrice dell'unico erede, Filippo, di dieci anni. La tutrice era la nonna Barbara Trivulzio (esisteva infatti un rapporto di parentela fra il casato estense di S. Martino e i precedenti proprietari del Borgo). Filippo venne inviato alla corte dei Savoia a Torino, dove sposò la figlia del Duca Emanuele Filiberto, nel 1570, ottenendo il feudo di Crevacuore.
Alla sua morte, nel 1592, solo il primo dei tre figli, Carlo Filiberto (gli altri si chiamavano Sigismondo e Alfonso), era maggiorenne. Sigismondo rimase perciò a Torino presso i Savoia, mentre Alfonso prenderà in consegna, per quasi un ventennio, l'amministrazione del feudo borgomanerese, in seguito alle brillanti imprese militari di Carlo Filiberto. Troviamo il maggiore dei tre fratelli dapprima in Spagna, impegnato nella guerra contro i moriscos, poi nel Monferrato, quando il suo apporto fu determinante per la conquista di Vercelli nel 1617. Alfonso invece, che era Abate Commendatario dell'Ordine di Malta, si trovò spesso sollecitato a intervenire per difendere il Borgo dalle milizie spagnole. Morì nel dicembre del 1623.
Nel 1628 il Marchese Carlo Filiberto era ancora in Spagna, a Madrid, con l'incarico di Prefetto Supremo della Camera dell'Infante card. Ferdinando. Rientrerà in Italia nel 1632 con la nomina a Principe del Sacro Romano Impero, ma si trattò soltanto di una tappa intermedia per la Baviera. In quel frangente, infatti, si trovava a guidare le truppe destinate a contrastare le invasioni degli svedesi e dei protestanti. Tuttavia, in quell'occasione accompagnò il card. Infante in visita ai Borromeo all'Isola, e il 29 maggio 1633 giunse a Borgomanero, dove fu accolto con tutti gli onori. Nel Borgo, fra l'altro, trascorse lunghi periodi di soggiorno la consorte, Marchesa Livia Marini. Carlo Filiberto rientrerà in Italia solo nel 1644, stabilendosi a Mortara. Alla sua morte nel 1652 non lasciò eredi e il feudo passò al nipote Carlo Emanuele. Anch'egli, che era solito accompagnare tutte le lettere con il solo titolo di Marchese di Borgomanero, intraprese la carriera Militare, ottenendo i massimi riconoscimenti.
Nel 1679 fu a Milano, dove ebbe modo di seguire, seppure a distanza, l'amministrazione del Borgo, interessandosi in particolare all'erezione della Collegiata, alle controversie con la città di Novara in merito ai dazi, il controllo dei pesi ed altre questioni. Ma anche i suoi ultimi anni li trascorse all'estero, viaggiando con diversi incarichi per tutta Europa. Il giorno della morte, il 27 ottobre 1695, lo sorprese a Vienna. All'interno del ducato di Milano, dopo due secoli di appartenenza alla Corona di Spagna (dal 1535), Borgomanero passò nel 1713, seppure per pochi anni, all'Impero austriaco. Il Marchese Don Gabriele degli Estensi, nuovo proprietario, dopo le imprese militari che lo videro al fianco di Eugenio di Savoia, giunse nel Borgo nel 1714, quando decise di prendervi dimora. A lui si deve, fra l'altro, la costruzione di un simbolo del Borgo, la statua della Madonna Immacolata che dal 1721 sorge al centro della piazza. Ma, ottenendo il titolo di Governatore alle fortificazioni dello Stato, il Marchese dovette tornare a Milano dopo il 1724. Sotto le insegne imperiali asburgiche, parteciperà nel 1733 alla difesa di Mantova e alla successiva battaglia di Parma; nel 1734 verrà ferito mortalmente. Non avendo discendenza diretta (la moglie, Marchesa Clara Colomba Cobianchi, che nel 1757 riceverà solenni esequie nella chiesa delle Orsoline, venendo ivi tumulata, gli diede due figlie), gli successe il cugino Carlo Filiberto, che pure morirà, il 30 aprile 1752, senza figli maschi. In seguito alla fine della dinastia del Marchesato degli Estensi, Borgomanero passò nel 1763 a Benedetto Maurizio Duca del Chiablese.
Come accennato, Borgomanero non restò per molto annessa all'Impero austriaco: nel 1734 divenne sabauda. Con i Trattati di Vienna, ponendo fine alla guerra di successione di Polonia, Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, riunisce politicamente ed economicamente il Novarese. La politica sabauda prevedeva una generale riorganizzazione del Regno, che si concretizzò soprattutto con la costituzione nel 1750 delle Intendenze, con la promulgazione delle nuove Costituzioni nel 1770 e con la riorganizzazione dei Pubblici (le Comunità) nel 1775. Il Duca del Chiablese, sempre all'interno di questi orientamenti volti a favorire la ripresa economica e civile, promuove la pubblicazione nel 1780 dei Bandi Campestri per Borgomanero.
Siamo ormai alle soglie della Rivoluzione Francese, periodo nel quale anche Borgomanero dovette attraversare momenti di forte tensione, fino alla caduta, nel 1814, dell'Impero Napoleonico La sola popolazione del Borgo, in principio del XIX secolo, superava già le seimila unità, ma circa altri duemila abitanti dovevano risiedere nelle località limitrofe dipendenti. Il ceto mercantile e artigianale, con circa 230 imprese, era particolarmente sviluppato. Inizia in questo secolo il processo che porterà la città a mutare radicalmente la propria fisionomia in rapporto ad un nuovo sostrato socioeconomico. Certo, il passaggio che trasformerà il borgo commerciale e agricolo in un'industriosa cittadina sarà inizialmente lento e complesso, prima dei rivolgimenti eccezionali che porterà con sé il Novecento.
Per esempio, ancora fino al 1825 e il 1828 l'ingresso in città avveniva per le quattro porte (poste al termine delle quattro vie che si dipartono a croce dal centro), il cui abbattimento rese definitivamente inutili le ultime mura, che pure già da almeno due secoli non rappresentavano più un sistema di sicurezza efficace. Fu questo un primo passo dell'espansione della città oltre l'antica cerchia, il cui sviluppo urbanistico restava tuttavia ancora fortemente condizionato, almeno fino agli ultimi decenni del secolo, per la rigida strutturazione del Borgo e la destinazione agricolo-commerciale degli edifici, appartenenti, per di più, a un numero abbastanza ristretto di famiglie.
Ma l'ottocento fu anzitutto il secolo del Risorgimento italiano, che vide fin dall'inizio anche l'apporto del Borgo se, come ricorda Lomaglio, "ad inalberare tra i primi il tricolore nella cittadella di Torino nel 1821 furono appunto i fratelli Ercole e Antonio Maioni, i quali pagarono con l'esilio la loro audacia: Ercole morirà a Cuba nel 1825, Antonio a Lugano nel 1830". Ma la città diventa soprattutto un presidio militare: "Infatti nel 1848 dovette ospitare il reggimento "Savona" e centinaia di militari infermi e sovvenzionare, inoltre, i richiamati poveri". Durante le Cinque Giornate di Milano, molti borgomaneresi si trovavano a combattere sulle barricate. Per tutte queste vicende, le condizioni sociali ed economiche della comunità si aggravarono notevolmente, fino al drammatico saccheggio del 1849 da parte dei soldati piemontesi dopo la sconfitta di Novara e le successive turbolenze in seguito all'alloggiamento di 800 soldati austriaci. La disciplina fu ripristinata con molta fatica e la situazione rimase drammatica a lungo. Molte furono le vittime borgomaneresi nelle varie guerre del Risorgimento e del Regno.
Il 18 febbraio 1900 giunse a Borgomanero l'elettricità, della quale si serviranno prestissimo le principali industrie. Può essere considerata, questa, una data simbolica, in quanto segna, proprio agli albori del secolo, l'inizio di quei prodigiosi mutamenti che il progresso economico e scientifico comporteranno sia per il borgo, che allora contava circa 10.000 abitanti, sia per l'intero Paese. Con la Prima Guerra Mondiale, però, si ebbe una traumatica interruzione dello sviluppo sociale ed economico, di cui abbiamo fornito solo qualche dato fra i tanti disponibili, sia per le gravi perdite subite sia per la crisi successiva al conflitto, che creò le condizioni politiche dell'ascesa del fascismo (anche se l'adesione della città al movimento fu tutt'altro che calorosa). Proprio i fascisti, il 17 agosto 1923 sciolsero l'ultima amministrazione comunale liberamente eletta: a Borgomanero giunse un Commissario prefettizio.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la situazione del Borgo, nonostante il conflitto sembrava potesse coinvolgere la città solo in modo indiretto, andò man mano peggiorando, sia per le terribili notizie che giungevano alle famiglie dal fronte sia per le crescenti difficoltà che quotidianamente si presentavano, e che indussero gli abitanti ad allontanarsi in cerca di luoghi momentaneamente più sicuri. L'azione antifascista delle squadre partigiane, soprattutto in risposta alla controffensiva tedesca, trovò la crescente partecipazione della popolazione, anche perché ancora una volta Borgomanero, per l'importanza strategica del suo territorio e per la presenza in città dei servizi essenziali, diverrà luogo strategico per la Resistenza e sede di aspri scontri. Oltre trenta furono i caduti annoverati dalla città, fra i quali spiccano le due medaglie d'oro Ernesto Mora ed Enzo Gibin, trucidati a Cressa il 23 febbraio 1945.
Dopo mesi drammatici di scontri con ripetuti capovolgimenti di fronte, conflitti ed un bombardamento alleato, le brigate partigiane riuscirono a liberare la città all'alba del 25 aprile. Esponente insigne della Resistenza fu Achille Marazza, membro del Comitato di Liberazione Nazionale, il quale fu tra coloro che il 25 aprile 1945 a Milano incontrarono Mussolini per intimargli la resa senza condizioni. L'opera di rinnovo delle strutture pubbliche, iniziata negli Anni Trenta dal podestà Gianni Colombo, proseguì dopo la Seconda Guerra. Negli Anni Cinquanta, infatti, si realizzarono molti progetti, fra i quali si ricordano il nuovo macello pubblico, che sostituì l'impianto precedente liberando l'area della Valera per lo sviluppo delle scuole; le prime case popolari (1949); il palazzo Inail (1952) e il palazzetto delle Poste (1954); il complesso INAM e Poliambulatorio Provinciale (1959) e, non meno importanti, le due grandi aree verdi lungo il fiume Agogna, piazza Salvo d'Acquisto e Parco della Resistenza. Molto importante fu l'introduzione dell'utilizzo del metano per uso domestico e industriale e la realizzazione del moderno impianto di illuminazione pubblica con la Società Dinamo.
Seguirono poi nei decenni successivi grandi sviluppi di edilizia scolastica, sanitaria e sportiva (vengono completati gli edifici della Pretura, la Casa per anziani e il Campo Sportivo).
Torre di Buccione
Con i suoi 23,20 m. di altezza questa massiccia torre in conci squadrati di granito e serizzo, si eleva in tutto il suo vigore sulla sommità di una collina (vistosamente scavata sui fianchi dall'attività di una cava) che domina il basso Lago d'Orta.
In realtà si dovrebbe parlare di castello, visto che la torre e i due recinti attorno, rappresentano i resti di un antico complesso fortificato, attestato in alcuni documenti fin dagli inizi del sec. XIII. L'attribuzione originaria resta comunque oggetto di controversie tra gli studiosi, i quali di volta in volta gli riconoscono differenti paternità: i Romani, i Longobardi o i vescovi di Novara. E' possibile, tuttavia, che il manufatto sia stato realizzato da signori locali legati al vescovo da vincoli feudali, forse i Da Castello di Crusinallo. In ogni caso è certo che divenne piazzaforte vescovile dipendente dal castello un tempo presente sull'isola di San Giulio.
Assieme ad altre analoghe torri nel Cusio, costituiva una testa di ponte di quel fitto sistema di fortificazioni poste a salvaguardia dell'antica enclave territoriale indipendente della riviera d'Orta.
La torre di Buccione era munita di una campana con cui veniva allarmata la popolazione in caso di pericolo: l'ultimo esemplare secentesco si può oggi ammirare nel giardino del Municipio di Orta. Internamente la torre risulta suddivisa in quattro piani da soppalchi di legno, collegati tra loro con scale a pioli. Il soffitto dell'ultimo piano è costituito da una volta in muratura a crociera, sulla quale poggia il pavimento del piano di vedetta, successivamente ricoperto al di sopra dei merli da un tetto a quattro falde.
Il piano inferiore della torre, sul quale si apre l'attuale ingresso ottocentesco (l'ingresso originario si trovava a circa sette metri di altezza), fungeva da deposito per le derrate alimentari necessarie in caso di assedio. Il secondo e terzo piano accoglievano la guarnigione, ed erano muniti di due latrine con condotti che convogliavano nel cortile. Il quarto piano costituiva invece la cella, corredata da una bertesca su mensole, da cui si difendeva l'ingresso mediante il lancio di sassi.
A completare la visita a questa fortificazione vi sono i resti di un recinto di pianta rettangolare coevo alla torre, le tracce di un locale destinato al corpo di guardia, i resti di un'altra più recente cortina muraria e di un avamposto.
Al fine di salvaguardare il patrimonio storico e ambientale del sito, nel 1993 la Regione Piemonte ha istituito un'apposita Riserva Naturale Speciale
Cucina Tipica di Borgomanero
Secondo la leggenda, la ricetta del tapulone (tapulòn, nel dialetto locale) è contemporanea alla fondazione di Borgomanero: risalendo agli ultimi decenni del XII secolo è quindi una delle più antiche di tutto il territorio compreso tra Novara e la riviera del Cusio.
Il Novarese è una delle poche zone d'Italia dove la norcineria equina ha mantenuto una sua importanza, e testimonianza di questo è la presenta del tapulone.
Carne d'asino tritata, olio d'oliva, aglio, alloro e rosmarino, chiodi di garofano, sale e il corposo vino rosso delle colline del Novarese sono gli ingredienti base di un piatto che, pur con le sue molte varianti successive, rimanda sempre alla povera società contadina dell'epoca e ad una cucina che doveva forzatamente sfruttare le semplici risorse locali. Probabilmente oggi risulterebbe impossibile riproporre il Tapulone originale, quello di un tempo: mancherebbe innanzitutto l'ingrediente principale, la carne di un vecchio asino abituato alla fatica dei campi e non quella, sempre che la si trovasse, di un animale di allevamento; mancherebbe il vino di una volta, ricco di tannino e con un grado di acidità più elevato di quello a cui siamo abituati; sarebbe infine impossibile rivivere anche lo spirito con il quale il tapulone veniva preparato e consumato, lo spirito di un pasto comunitario che coinvolgeva parenti, vicini e amici riuniti a tavola dopo che si era ucciso l'asino e lo si doveva consumare tutto in una volta per l'impossibilità di conservarne a lungo la carne. Fino ai tempi recenti, nell'ultima domenica di settembre, il tapulòn veniva messo in tavola dai borgomaneresi davanti agli usi di casa.
Il tapulone è ancora oggi il simbolo di Borgomanero e, anche se i suoi abitanti sostituiscono ormai sempre più spesso l'originale carne d'asino con quella più tenera di manzo, il piatto continua ad essere preparato mettendo la carne macinata su un soffritto d'olio e burro profumato con rosmarino, lauro e aglio, cuocendola a fuoco lento con un battuto di lardo, verza ed erbe aromatiche e mantenendola morbida e umida con del vino rosso.
Le carni del passato erano dure, perciò da tapulà (da qui il nome), ossia da sminuzzare con il coltello e servivano almeno un paio d'ore di cottura, mentre oggi il tapulone si prepara in poco più di mezz'ora.
Leggenda
Secondo la versione più nota di tale leggenda, tramandata da molti cultori di storia e tradizioni locali, come Achille Marazza, sembra che, nel XII secolo, una compagnia di tredici rozzi personaggi, i tredici Orchi, al ritorno da un pellegrinaggio all'isola di San Giulio sul lago d'Orta, si fossero fermati per ristorarsi in una amena località sulla quale sarebbe poi sorta la città di Borgomanero. Accortisi tuttavia di aver dimenticato di riempire borse delle opportune provviste per il viaggio e tormentati dai morsi della fame, non rimase loro che sacrificare il povero asinello. La carne del vecchio animale però, indurita da anni di lavoro, si rivelò sorprendentemente coriacea per cui dovettero dapprima tritarla e poi lasciarla a lungo sul fuoco per renderla più tenera. Il primo esempio di tapulone piacque talmente agli Orchi che essi decisero non solo di farne tesoro, ma anche di fermarsi per sempre in quel fortunato luogo, convinti di essere stati miracolati da San Giulio.
E' una leggenda apparentemente banale ma legata al mondo della cristianità: i tredici ragazzi simboleggerebbero la somma di Gesù e dei dodici apostoli, il fatto che fondarono Borgomanero con un asino richiama l'entrata di Gesù a Gerusalemme con lo stesso animale.
La marcia dietro l'asino è come il "Ver Sacrum", la primavera sacra, un'antica usanza italica che consisteva nell'espellere i giovani maschi in sovrannumero con un animale.